Nel nuovo assetto normativo previsto con la riforma condominiale risalta con maggiore evidenza e peculiarità la figura del cosiddetto “supercondominio”, a cui vengono estese le norme ordinarie dettate per il condominio.
Il testo del nuovo articolo 1117 bis, è chiaro nel disporre che le disposizione in tema di condominio «si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiamo parti comuni …». Il supercondominio entra dunque d’imperio nella disciplina dettata in tema di condominio, addirittura con precise configurazioni individuate in più unità immobiliari autonome o più edifici con beni e/o servizi in comune, più gruppi di unità immobiliari autonome aventi ciascuna una organizzazione condominiale e, infine, più gruppi di edifici condominiali. È chiaro anche il riferimento al cosiddetto “condominio orizzontale”, quello cioè che si forma in presenza di una costruzione sviluppata in senso orizzontale con corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, i quali possono essere dotati di strutture portanti e di impianti essenziali: esempio tipico sono le villette a schiera, in quanto dotate di manufatti portanti e impianti essenziali comuni L’ampliamento della figura del supercondominio, rispetto alla configurazione formata dalla giurisprudenza, viene ora disposta dalla legge e non più dalla volontà privata. In essa vengono ricomprese anche unità autonome, quali la piscina, il campo da tennis o il parco giochi, magari anche distanti dagli edifici, non essendo più richiesto, quale elemento essenziale per l’esistenza del supercondominio, la relazione di accessorietà delle parti comuni con le diverse proprietà esclusive che prima (Cassazione n. 22123/09) costituiva, invece, il presupposto indispensabile affinché si potesse configurare una “superiore ” e diversa realtà condominiale. La vera novità sta invece nelle modalità di formazione dell’assemblea del supercondominio, perché la riforma, modificando l’articolo 67 Disp, Att. c.c, dispone che nelle realtà supercondominiali con più di sessanta partecipanti è fatto obbligo a ciascun condominio di designare un proprio rappresentante, il quale dovrà poi presenziare all’assemblea con poteri di decidere in ordine alla gestione ordinaria delle parti comuni e alla nomina dell’amministratore. La relativa delibera deve essere assunta con le maggioranze di cui al quinto comma dell’articolo 1136 c.c., cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno due terzi del valore dell’edificio. Se l’assemblea non vi provvede, ciascun condomino, ovvero ogni rappresentante già nominato, può chiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria affinché nomini il proprio rappresentante. Tutto resta, quindi, invariato qualora al supercondominio partecipino meno di sessanta condomini, nel senso che in tal caso ciascuno di loro mantiene il diritto di presenziare, personalmente o per delega, alle assemblee in cui discutere sui vari punti posti all’ordine del giorno. Lo spirito innovativo della riforma è sotto tale profilo da un lato sorprendente e dall’altro preoccupante, se si considera che l’orientamento giurisprudenziale era stato univoco nel ritenere nulle le deliberazioni adottate dagli amministratori dei singoli condominii e che ora viene invece impedito ad ogni condomino di concorrere direttamente alla formazione della volontà del proprio condominio. La ragione della nuova disposizione è certamente quella di evitare assemblee estremamente numerose oppure, al contrario, inutili riunioni in cui difficilmente si riesce a raggiungere il quorum deliberativo proprio per la minima partecipazione dei condomini. Il rischio, però, è quello di avere supercondominii che nemmeno riescono a raggiungere il numero minimo di tre condominii per la costituzione di un collegio e quindi di dovere configurare anche il “supercondominio minimo”, che deve necessariamente deliberare con l’unanimità dei consensi.
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