Il danno morale risarcito a sé

di Dario Ferrara Non si può affatto escludere la liquidazione autonoma dei danni di natura morale ed esistenziale, accanto a quello biologico, per chi è rimasto invalido dopo l’incidente: la lesione

che consiste nel perdurante stato di ansia e il pregiudizio costituito dal forzoso cambio di abitudini di vita imposto dal sinistro risultano risarcibili da soli anche senza un danno alla salute e,

dunque, a maggior ragione non possono essere negati quando la vittima della disgrazia non può più lavorare né compiere altre importanti attività quotidiane; a patto, però, che la sussistenza risulti debitamente provata. È quanto emerge dalla sentenza 22585/13, pubblicata il 3 ottobre dalla terza sezione civile della Cassazione. Accolto il ricorso del danneggiato, caduto nella tromba delle scale nell’immobile dell’ente pubblico di cui era dipendente. Sbaglia la Corte territoriale quando non riconosce all’invalido un danno morale soggettivo indipendente dalla lesione biologica patita. È vero: la giurisprudenza delle sezioni unite civili è ferma nel ritenere che il danno non patrimoniale sia unico, mentre le sottocategorie «biologico», «morale» ed «esistenziale» non rappresentano altro che categorie descrittive. Il punto è che il giudice del merito, nel liquidare il ristoro all’impiegato precipitato al suolo nell’edificio fatiscente, non può ignorare le inevitabili implicazioni che la nuova condizione di invalido determina nell’esistenza un tempo normale del danneggiato: tanto per dirne una, sul piano familiare, la vittima dell’incidente non può più avere una sua vita sessuale; e in ogni caso l’esplicazione della personalità del danneggiato risulta compromessa sul fronte professionale, visto che non più lavorare, ma anche sociale, dal momento che non può più coltivare relazioni come una volta. Impossibile, infine, escludere dalla responsabilità per il sinistro i vertici dell’ente pubblico. La rovinosa caduta scaturisce dalla intollerabile situazione delle scale dell’edificio e, dunque, da una vera e propria carenza strutturale dell’immobile, e non solo dalla cattiva manutenzione: per la circostanza sono colpevolmente inadempienti i «pezzi grossi» dell’istituto in quanto debitori di sicurezza dei dipendenti.

 

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