DAL NOSTRO INVIATO A GENOVA
Ottocento milioni di euro da portare a capitale. Su questa cifra, e il modo di raggiungerla, il gruppo Carige ha rischiato la rottura, sulla spinta delle diverse visioni delle sue due anime. Quella che fa capo al presidente della banca, Giuseppe Berneschi, favorevole a un aumento cash e quella di Flavio Repetto, totalmente contrario a questa ipotesi. Presidente Repetto, lei è il vincitore
dell’ultima assemblea di Banca Carige. La fondazione che lei presiede ha imposto la propria linea: no all’aumento di capitale per contanti, la banca trovi le risorse da portare a capitale vendendo gli asset non core…
«L’aumento di capitale per contanti non era una via praticabile. Avremo portato l’azione a valere 20 centesimi, aprendo le porte ad avventurieri che si sarebbero potuti facilmente prendere la nostra banca. Su questo ha convenuto, in assemblea, anche il presidente Berneschi…».
Berneschi ha detto che tra voi i rapporti sono cordialissimi. Negli ultimi mesi non sembrava.
«Diceva Manzoni che il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune. Ecco, abbiamo fatto prevalere il buonsenso».
Che si concretizza nella vendita delle assicurazioni?
«Le compagnie del gruppo sono società senza valenza strategica. In un momento come questo vanno cedute».
Anche il 20,6 per cento dell’Autostrada dei Fiori? Quella è una cash-cow, che porta alla banca denari freschi…
«Non c’è valenza strategica neppure lì. E quanto al cash, quello va nelle tasche dei Gavio, che hanno la maggioranza. La banca incassa solo il dividendo deciso da altri».
Ritiene credibile il piano del direttore generale Ennio La Monica per far uscire dalla crisi il gruppo Carige?
«La Monica sta prendendo coscienza della sua posizione, che non è quella del maggiordomo bensì dell’amministratore delegato…».
Basteranno le cessioni per realizzare gli 800 milioni attesi?
«Al massimo sarà necessario un aumento non superiore ai cento milioni».
Se le cose dovessero andar male, dopo le assicurazioni, la sgr e l’AutoFiori, Carige Italia, la rete degli sportelli bancari fuori dalla Liguria, sembra pronta e impacchettata per essere ceduta. Sarà così?
«Assolutamente no. Carige Italia è strategica: è lì che si realizzerà lo sviluppo. Ha un consiglio snello, un presidente sopra le parti quale Cesare Castelbarco Albani e la competenza necessaria per svilupparsi».
Proprio sulla competenza del top management di Carige Italia c’è chi storce il naso…
«Solo per ignoranza. Confondono Alessandro Repetto, che non è mio parente, con un politico di professione. Lui è stato vicepresidente della commissione finanze a Roma e a lungo presidente della Provincia di Genova. Ma prima, per 34 anni, è stato in Carige. È l’uomo dello sviluppo territoriale della nostra banca, di cui è stato direttore centrale».
La fondazione è al 47 per cento nella banca. E quell’asset vale oltre il 95 per cento dei vostri investimenti. Troppo. Anche a leggere la legge istitutiva delle fondazioni delle fondazioni bancarie…
«Le fondazioni sono enti territoriali e questo devono avere a cuore, il territorio. La Fondazione Carige opera con il culto del bene comune: ma lo vede a cos’è ridotta la Liguria? Da metà degli anni Settanta è iniziato un declino industriale che ha portato Genova a contare, economicamente parlando, come un quartiere di Milano… A Roma non abbiamo una rappresentatività degna di questo nome. L’unica realtà rimasta è Carige, che dà speranza e sviluppo. Andrea Doria è morto da tempo, la città è tornata ai livelli di ricchezza degli anni Sessanta: si vive di pensioni e di stipendi pubblici. Ma le pare? Se ci facciamo portar via anche Carige è davvero finita…».
S. RIG.
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