di Antonella Olivieri
Intendiamoci: qui il mercato non c’entra, se non come vacca da mungere in un momento in cui il latte è comunque scarso.
Quella su FonSai non è una battaglia di mercato, bensì una battaglia d’interessi. L’interesse di Sator e Palladio è quello di essere della partita. E, per avere una chance di entrarci, hanno dovuto cercare una sponda nei Ligresti. Che fosse così fin dall’inizio, oppure no, non ha importanza: ormai si gioca a carte scoperte. Se l’operazione proposta dai due fondi andasse avanti, il mercato sarebbe chiamato a “vedere”, mettendo sul piatto un importo pari a poco più di un terzo di quello che sarebbe richiesto dall’opzione Unipol, ma a un prezzo che potrebbe anche risultare a premio rispetto alle quotazioni di Borsa. Soprattutto, però, questo significherebbe concedere alla famigilia di conservare ancora un peso di rilievo (tra il 14% e il 25%) nella compagnia che, con una gestione infarcita di operazioni con parti correlate, è finita con i margini di solvibilità ben al di sotto dei minimi regolamentari.
L’interesse delle banche – e questo era chiaro fin dall’inizio – è anzitutto quello di proteggere la propria esposizione che è elevata, da Premafin in su, soprattutto per UniCredit e, da FonSai in giù, soprattutto per Mediobanca. In entrambi i casi, va detto, gli attuali vertici operativi hanno ereditato posizioni creditorie che hanno cercato di gestire come hanno potuto, dapprima rifinanziando il debito a monte e suggerendo dismissioni a valle, poi promuovendo gli aumenti di capitale di FonSai e Milano che si sono dimostrati insufficienti. Finchè la situazione è degenerata e non c’è stata altra scelta che tagliare i ponti con il passato, cercando in un’aggregazione industriale la soluzione del problema. Unipol è stato l’unico interlocutore assicurativo disposto a imbarcarsi in un’avventura per alcuni versi kafkiana, mosso a sua volta dall’interesse di fare il salto dimensionale per diventare il leader italiano del ramo Danni. Con la complessa operazione ipotizzata, le banche avrebbero protetto al meglio i loro interessi, sposandoli con la chance di futuro “industriale” per una FonSai arrivata sull’orlo del commissariamento. Certo, nell’immediato per il mercato si tratterebbe di mettere mano nuovamente al portafoglio per un importo analogo a quello a cui ha dovuto far fronte solo un anno fa. Ed è tutto da provare che un forte sconto riuscirebbe a convincerlo a giocare un’altra mano. Però le banche hanno accettato il rischio, aprendo l’ombrello del consorzio di garanzia.
Ora la partita è vicina al punto di scoprire se qualcuno bluffa. Tecnicamente, da fine maggio le banche hanno la possibilità dichiarare il default di Premafin. È l’ultima cosa che vorrebbero fare, perchè significherebbe tirare un colpo di penna sulle pretese a monte e ricominciare tutto daccapo sul riassetto a valle, col rischio che la pazienza dell’Isvap si esaurisca e FonSai finisca commissariata. Per questo il pool di creditori aspetta la prova della verità, che è l’assemblea Premafin, chiamata martedì a valutare l’aumento di capitale riservato a Unipol. Senza la rinuncia alla manleva e al diritto di recesso in capo ai Ligresti, che la Consob ha chiesto come condizione per l’esenzione dell’Opa su Premafin, difficilmente il gruppo delle coop garantirebbe comunque la continuità aziendale della holding. A quel punto le banche non avrebbero più remore a esercitare il pegno sulle azioni FonSai. Ma salvare il salvabile per loro significa comunque andare avanti con Unipol. L’opzione offerta da Sator e Palladio non è ritenuta affidabile dal loro punto di vista, non solo perchè la ricapitalizzazione proposta per la compagnia è inferiore di 300 milioni a quanto richiesto dall’Authority di vigilanza, ma anche perchè, giocoforza, ancora sprovvista di certezze sotto il profilo finanziario e autorizzativo e soprattutto di un progetto industriale che solo un partner assicurativo potrebbe garantire. Per la cronaca pare che Clessidra e Investindustrial, contattati, non abbiano voluto sedersi al tavolo.
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