Pene tra i due e i quattro anni per dieci persone che hanno cercato di ottenere un risarcimento di un milione e 600 mila euro
Truffa nell’incidente in cui muore il figlio, condannata un’intera famiglia Un’intera famiglia dello Zen condannata per avere tentato di truffare una compagnia assicurativa dopo la morte in un incidente stradale del
figlio. Una frode costruita a tavolino. Una macchina fantasma piomba sulla scena dell’incidente, un falso investitore si assume tutte le responsabilità, il conducente dell’auto che davvero aveva avuto lo scontro con la moto ritratta le sue dichiarazioni. Tutto per ottenere un risarcimento danni di un milione e 600 mila euro.
E’ questa la storia che coinvolge la famiglia Faija dello Zen che nell’aprile del 2010 perse il figlio di sedici anni dopo tre mesi di coma. Padre, madre e sei tra fratelli e sorelle sono finiti sotto processo. Avevano tentato il colpo grosso chiedendo un risarcimento record all’assicurazione Cattolica che, dopo un primo risarcimento di 128 mila euro, ha approfondito la vicenda. I riscontri della polizia municipale hanno messo il sigillo sulla verità. Il giudice monocratico Vittorio Alcamo ha condannato Francesco Faija, la moglie Caterina Saladino, e i figli Antonio, Giovanni, Daniela, Giuseppa, Maria Rita e Valeria a 4 anni e ha disposto l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. La pena più alta è stata decisa per Gioacchino Castelli, il falso investitore che avrebbe guidato una Opel Meriva, condannato a 4 anni e 2 mesi. Due anni, pena sospesa, per Marco Anzelmo, l’uomo che si scontrò con la sua Golf contro la moto della vittima e poi ritrattò le dichiarazioni. La famiglia dovrà pagare all’assicurazione Cattolica, parte civile nel processo e difesa dall’avvocato Francesco Billetta, la somma di 128 mila euro.
Di fatto il povero Salvatore Faija, un sedicenne, morì nel 2010 per non essersi fermato allo stop tra le vie Agesia di Siracusa e Castellotti. Si scontrò con la Golf, ma dopo un mese circa da quell’impatto, entrò in scena Castelli che dichiarò di avere tamponato il giovane. Le indagini scoprirono tutt’altro.
Di Romina Marceca