di Ignazio Marino
Prima l’investimento su se stessi, non sempre remunerato, per imparare una professione durante il tirocinio. Poi i costi per l’esame di stato e l’iscrizione all’ordine. E infine il debutto sul mercato
dei servizi per l’inevitabile gavetta prima di poter cominciare a guadagnare qualcosa.
Passaggi precisi che fino a qualche anno fa rappresentavano una scommessa che l’impegno e la dedizione alla professione potevano far vincere in serenità.
Ma da ultimo il Governo Monti, non soddisfatto delle liberalizzazioni del 2006 che già avevano cancellato le tariffe minime inderogabili, nel 2011 ha varato due nuove riforme che hanno reso più difficile l’accesso e la permanenza sul mercato dei giovani iscritti agli albi. Con la legge Salva Italia (214/2011), infatti, l’ex ministro del lavoro Elsa Fornero ha obbligato tutte le casse di previdenza private e privatizzate a rispettare la sostenibilità cinquantennale.
Un vincolo solo apparentemente contabile dato che una buona parte degli enti di categoria (avvocati, notai, ingegneri e architetti, veterinari, geometri, consulenti del lavoro, medici, farmacisti solo per citare le principali) per rispettare la previsione normativa hanno varato una serie di interventi strutturali quali aumento dei contributi minimi, allungamento dell’età pensionabile, passaggio al meno generoso calcolo delle pensioni di tipo contributivo (assegno calcolato solo sui contributi realmente versati).
Tutto ciò per il laureato fresco di abilitazione si trasforma in una sorta di tassa da pagare a prescindere se si fattura o meno. C’è poi stata la riforma degli ordini (legge 183/2011) dell’ex ministro della giustizia Paola Severino che ha introdotto l’obbligo della formazione continua e della polizza assicurativa (anche se quest’ultimo per effetto di una prima proroga entrerà in vigore il 13 agosto 2013). Dunque, nuovi costi. Con una differenza però, rispetto a quelli previdenziali. Mentre aggiornamento e copertura assicurativa rappresentano due elementi in grado di aumentare la competitività del professionista, gli aumenti contributivi sono stati visti come una spesa non proprio fondamentale in un momento in cui le incertezze economiche non permettono di preventivare né «quanto» e né «se» durante l’anno si fatturerà qualcosa.
L’ultimo grido d’allarme sui costi per l’esercizio dell’attività professionale è arrivato dai sindacati di architetti e ingegneri, due fra le professioni più colpite tanto dalle liberalizzazioni del 2006 (di fatto oggi non possono più partecipare più agli appalti) quanto dalla crisi economica.
Così se, da un lato, Inarsind ha stimato in 5 mila euro il costo per far valere solo il titolo professionale da Federarchitetti è partita la richiesta alla cassa di previdenza di non pagare contributi almeno fino al 31/12/2013 per fare respirare la categoria.