Ma quali erano gli equilibri in Generali?

Riccardo Sabbatini

A distanza di un anno e mezzo la defenestrazione da Trieste gli brucia ancora. Questo si percepisce nel libro-intervista che l’ex presidente di Generali

, Cesare Geronzi, ha concesso al vice direttore de “Il Corriere della Sera” Massimo Mucchetti. Geronzi ha parlato di “mandati” all’interno del cda del Leone (Diego Della Valle), di “mandanti” (Alberto Nagel e Lorenzo Pelliccioli) ma, sui motivi della congiura, è stato meno convincente. L’ha attribuita soprattutto al suo tentativo di modificare la governance di Trieste, consentendo a più liste di minoranza di essere presenti in Cda. Ciò che avrebbe rafforzato il ruolo dei soci forti italiani del gruppo (Caltagirone, De Agostini, Del Vecchio) indebolendo lo storico azionista “di riferimento”, Mediobanca. Ma non si capisce, allora, perché proprio i beneficiari di quella modifica avrebbero dovuto voltargli le spalle. Senza considerare che, se realizzato, quel parlamentino societario avrebbe creato un obbrobrio. Esistono modelli in cui i manager sono forti (in Usa), altri in cui contano gli azionisti di maggioranza (normalmente in Italia) ma da nessuna parte sono deboli entrambi. Geronzi, nel suo allontamento, sembra attribuire un peso minore ai suoi tentativi di interferenza nelle scelte del ceo, Giovanni Perissinotto, di cui pure c’è traccia nel libro. Ad esempio quando ottenne direttamente dal premier Silvio Berlusconi di escludere dall’agenda del suo incontro con Vladimir Putin (ottobre 2010) l’ingresso del Leone nella banca russa Vtb, che Perissinotto stava trattando. Non è il massimo come gioco di squadra. Ma forse la causa del licenziamento va cercata anche altrove. Geronzi rivela che i suoi grandi sponsor alla presidenza di Generali erano stati nel 2010 gli esponenti del capitale francese in Mediobanca, Bollorè e Tarak Ben Ammar. Ebbene proprio in quei mesi Bollorè, in combutta con la compagnia francese Groupama, stava cercando di scalare la Fonsai di Ligresti. Se quel piano fosse riuscito i francesi avrebbero consolidato una partecipazione in Mediobanca intorno al 15%. Sarebbero divenuti il maggior azionista non solo di Piazzetta Cuccia ma, indirettamente, anche di Trieste. Quel piano abortì per il niet della Consob il 5 marzo del 2011, esattamente un mese prima del licenziamento di Geronzi. Talvolta, nel capitalismo, le rese dei conti avvengono rapidamente.

 

Fonte

Condividi questo contenuto sulla piattaforma che preferisci.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Telegram
WhatsApp
Email
Stampa

Accedi con le tue credenziali

 per usufruire di tutti i servizi riservati agli associati U.L.I.A.S.

Nel caso non fossi ancora registrato, puoi richiedere adesso l’accesso che verrà validato dopo il versamento della quota associativa.