l tribunale del lavoro ha imposto a una donna che ha svolto la professione tra il 2007 e il 2010 di pagare alcune migliaia di euro all’Inps di Pierluigi Sposato
ROSSETO. Avete svolto negli ultimi anni l’attività di produttore libero o diretto per una compagnia assicuratrice? Allora è molto probabile che abbiate ricevuto dall’Inps già mesi fa un verbale in
cui l’ente obbliga l’interessato a iscriversi alla Gestione commercianti e a versare i relativi contributi. Ed è molto probabile anche che abbiate presentato ricorso contro la pretesa, visto che al Tribunale di Grosseto sono una ventina i casi (e ce ne sono migliaia in Italia) che devono essere trattati. Di questi, uno è già arrivato a sentenza: e l’orientamento non è favorevole al ricorrente.
Il giudice del lavoro Antonella Casoli non ha riconosciuto le ragioni di una donna follonichese oggi poco più che 70enne che tra il 2007 e il 2010 aveva svolto l’attività di produttore libero in favore di una delle tante compagnie operanti in Italia. E che sosteneva di non dover affatto pagare quanto reclamato dall’ente previdenziale, alcune migliaia di euro, perché alla sua attività non potevano essere applicate le disposizioni del contratto nazionale di lavoro risalente addirittura al 1939. «Sono stata autorizzata dalla compagnia, ho solamente segnalato nominativi di persone interessate a sottoscrivere contratti, ho svolto attività occasionale, non avevo una zona assegnata e nemmeno potere di firma delle polizze», è in sostanza quanto sostenuto dalla donna.
La normativa richiamata dall’Inps, aggiunge, regolamenta solo i rapporti tra agenzie e subagenzie e i produttori e non anche quelli tra impresa assicurativa e collaboratori.
Tra l’altro, il contenzioso di massa in atto sul territorio nazionale ha già ottenuto delle pronunce favorevoli ai ricorrenti, cioè ai produttori (in Emilia, Lombardia e Piemonte).
Il giudice grossetano analizza le differenziazioni tra i produttori e ritiene che la donna non possa essere inquadrata nel V gruppo (occasionali, senza lettera di autorizzazione) ma nel IV e che quindi debba pagare. È proprio la lettera di autorizzazione da parte della compagnia a fare la differenza, secondo la dottoressa Casoli. Quelli di V gruppo sono procacciatori d’affari totalmente svincolati da relazioni stabili con le compagnie, e con attività «del tutto occasionale». Mentre è «non del tutto occasionale» quella dei produttori del IV gruppo, pur se non connotata da esclusività e da vincoli di produzione. Recita il contratto collettivo del 1939 che «rientrano nel V gruppo esclusivamente i produttori occasionali, cioè quelli che non sono forniti di lettera di autorizzazione». Lettera che la ricorrente aveva pacificamente ricevuto, con l’indicazione «dei contenuti propri del IV gruppo». Altri elementi sostanziali inducono il giudice a escludere la natura occasionale del rapporto. Anche perché la donna «doveva riscuotere i premi e attenersi alle regole aziendali, così confermandosi la natura continuativa e professionale del rapporto con la compagnia». Il giudice è del parere che «la ricorrente deve essere inquadrata nel IV gruppo, non avendo alcun vincolo di esclusiva né obbligo del minimo di produzione (a differenza dei produttori di III livello), essendo compensata con provvigioni e incaricata attraverso la sottoscrizione di una lettera di autorizzazione (a differenza dei produttori occasionali di V livello)». Non ha importanza l’entità dei compensi né la mancanza del vincolo di firma per le proposte contrattuali. Né esiste, in questo caso, prescrizione.