Unipol e Carige sono chiamate a vendere: in prima fila tra i «buyer» Axa, Allianz e altri big esteri DI SERGIO BOCCONI Si tratterà anche di «scampoli», spezzatini o di asset di taglia non troppo impegnativa dal punto di vista finanziario, soprattutto perché non si intravede in alcun caso rischio Opa all’orizzonte. Appare però chiaro che dall’estero è partita una nuova «campagna
d’Italia» sulle assicurazioni. Per i due «lotti» di premi della Milano che Carlo Cimbri di Unipol deve vendere per disposizioni Antitrust dopo aver acquisito Fonsai, si sono fatti avanti da oltre frontiera i big Axa, Allianz, Zurich e Aviva, oltre alla domestica Cattolica. Un drappello che si ripete in fotocopia (con l’aggiunta di Munich Re) o quasi anche per le due compagnie che Carige, su «consiglio» di Bankitalia alla ricerca di maggiore solidità, vorrebbe «piazzare» entro l’estate.
In fila
Se i colossi europei sono in fila (poi bisognerà vedere se si limitano a ritirare il cartellino con il numero per non perdere il posto o se andranno avanti) evidentemente c’è qualcosa che rende appetibile un ritorno d’interesse per il nostro mercato delle polizze. È certo cambiato il quadro di riferimento europeo, il rischio paese pesa di meno anche sui relativi portafogli di titoli sovrani, i prezzi probabilmente «aiutano» a considerare con più favore ciò che è in vendita. Che peraltro non è molto. L’ultima vera «preda», Fonsai, l’ha rilevata Unipol salvandola dal collasso. Per il resto di «pezzi» che possono rendere meritevole lo shopping per uno sbarco significativo o un rafforzamento nel nostro Paese, non pare essercene molti. La Reale mutua è appunto una mutua e in pratica non è sul mercato, la Cattolica è una cooperativa e più o meno vale lo stesso discorso, la Vittoria è controllata dalla famiglia Acutis con il 60% e le voci che di tanto in tanto la indicano in vendita si disperdono in breve tempo.
Attenzioni francesi
L’ultima battuta di caccia in ordine di tempo è stata quella per Fonsai. Groupama, preceduta dal «veloce» Vincent Bolloré, è partita alla conquista della compagnia che dal 2001 era dei Ligresti nell’autunno 2010, passando per la holding Premafin. Non era peraltro la prima volta che i francesi studiavano l’affondo nel nostro mercato: ci hanno provato nel ’91 quando ancora Fondiaria era della Gaic di Camillo De Benedetti e dei Ferruzzi, e si sono «accontentati» della Nuova Tirrena dopo che le Generali si erano aggiudicate l’ambita preda Toro. Con i Ligresti non è andata bene perché la Consob ha imposto l’Opa e Groupama ha fatto marcia indietro.
Ma quando, nel dicembre 2011, sempre per Fonsai gli istituti di credito hanno fatto «scouting» sui principali gruppi assicurativi esteri, non è arrivata sul tavolo alcuna vera offerta. Già allora si era invece parlato di generici interessi per «pezzi» eventualmente messi in vendita o nell’ipotesi spezzatino, o peggio in caso di procedura concorsuale o, ancora, nell’eventualità di un intervento Antitrust. Che c’è stato. E Unipol ha messo in vendita (contestando la decisione dell’authority) premi per 1,7 miliardi, più o meno complessivamente equivalenti a una compagnia collocabile intorno al 14esimo posto nella graduatoria nazionale, ma divisi in due lotti, entrambi comprendenti una quota di premi direttamente della Milano più da un lato la Liguria e dall’altro la Sasa. Asset che, come si è detto, interessano a diversi biginternazionali, quasi tutti peraltro già presenti sul mercato italiano anche con quote significative di mercato.
Scelte diverse
Dunque: per tutta Fonsai il deserto, per pezzi della controllata Milano la fila. Non va dimenticato però che quando la compagnia che i Ligresti per anni hanno trattato come un bancomat familiare è stata oggetto di una specie di road show all’estero, a fine 2011, gli operatori internazionali si guardavano bene dall’avvicinarsi al nostro rischio paese: aggiungendo poi lo specifico rischio-Fonsai la miscela diventava esplosiva. Altra cosa è comprarsi oggi quote di premi da un gruppo che deve vendere per non eccedere i limiti Antitrust.
L’altra partita riguarda invece la parte assicurativa che Banca Carige cede con l’obiettivo di recuperare il capitale necessario (800 milioni) secondo i «consigli» di Banca d’Italia. Una vendita che segue tensioni fra gli azionisti e che è vista in alternativa a un aumento deliberato ma non privo di rischi. Anche in questo caso la dismissione è prevedibile in due tranche, non troppo dissimili in termini di raccolta premi fra Danni e Vita (in tutto le due compagnie registrano una raccolta pari a circa 1,3 miliardi).
Come si concluderà la «campagna d’Italia»? Oggi è impossibile fare pronostici anche perché in gara ci sono davvero big europei. Che almeno nel breve periodo non hanno altri mezzi per entrare o diventare più forti nel nostro mercato facendo shopping.
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