MILANO — Seppure travolti dalle inchieste giudiziarie a Milano e a Torino e dichiarati falliti nelle holding di famiglia Sinergia e Imco, i Ligresti sono comunque rimasti azionisti della galassia Fonsai, sia pure per una quota ormai limitata. E ora vogliono monetizzare: in ballo ci sono 22 milioni di euro.
Tecnicamente i Ligresti sono ancora azionisti di Premafin, la holding di controllo di Fonsai, che essi controllavano fino al 2012 per quasi metà del capitale attraverso Sinergia e Imco (Salvatore Ligresti) e attraverso le lussemburghesi Canoe, Hike e Limbo (riconducibili a Jonella, Giulia e Paolo). In realtà i Ligresti pesavano molto di più: a Salvatore Ligresti faceva di fatto capo un’altra quota di circa il 20%, occulta, detenuta attraverso alcuni trust offshore scoperti dalla Consob, le cui azioni sono state poste sotto sequestro su richiesta del pm di Milano Luigi Orsi che a inizio 2012 indagava sulla manipolazione del titolo Premafin.
Sebbene i maxi aumenti di capitale sottoscritti da Unipol li abbiano fatti diluire, i tre veicoli lussemburghesi detengono ancora il 5,9% circa di Premafin; Sinergia e Imco il 3,8%; i fondi offshore il 2,3%. Ma non entreranno a far parte della nuova UnipolSai che esordirà in Borsa a metà gennaio con la fusione di Unipol, Fonsai, Milano Assicurazioni e Premafin. Non parteciperanno dunque alla scommessa del numero uno di Unipol, Carlo Cimbri, sul nascituro secondo gruppo assicurativo italiano. Piuttosto che attendere il responso del mercato sulla bontà (o meno) dei concambi individuata dagli advisor delle quattro società, hanno preferito battere cassa, puntando a incassare 22 milioni vendendo tutto. Tecnicamente si chiama «esercizio del diritto di recesso».
La richiesta è stata inviata nei giorni scorsi alla nuova Premafin, controllata all’80% da Unipol. Così hanno fatto anche i curatori fallimentari di Sinergia e Imco. E la stessa strada dovrebbero aver seguito i fondi offshore, amministrati dal custode giudiziale Alessandro Della Chà.
Il corrispettivo del recesso, fissato dalla legge, è pari alla media dei prezzi di Borsa degli ultimi sei mesi: per Premafin è 0,1747 euro. È un valore più alto rispetto a quello di mercato di 0,16 euro. Per questo la scelta dei curatori fallimentari di Sinergia e Imco e quella dei gestori dei tre fondi lussemburghesi è stata di realizzare adesso. Così i tre fratelli incasseranno a testa circa 7,5 milioni, Sinergia e Imco complessivamente 14,5 milioni, i trust 9 milioni circa.
Ma possono farlo? La questione non è chiara: alla richiesta di Unipol di esenzione dall’Opa obbligatoria su Premafin — e a cascata su Fonsai — la commissione presieduta da Giuseppe Vegas aveva risposto a maggio 2012 che «si riserva di ritenere non applicabile l’esenzione qualora gli attuali azionisti di riferimento di Premafin (cioè i Ligresti, ndr ) esercitino il diritto di recesso». Questo perché quel pagamento in denaro potrebbe essere considerato come una «buonuscita»; esattamente quella buonuscita prevista dai primi accordi di gennaio 2012 (che valeva circa 45 milioni) poi respinti dalla Consob e che invece Ligresti ha continuato a pretendere attraverso il famoso «papello» (ammesso che abbia valore di contratto). Varie fonti legali ribattono che la Consob non ha il potere di limitare un diritto previsto dal codice civile e che non ci sarebbe disparità di trattamento con gli altri soci dissenzienti di Premafin: e questo potrebbe consentire l’esercizio del recesso senza far scattare l’Opa.
C’è però un altro punto dubbio a sfavore dei Ligresti: votando a giugno a favore dell’aumento di capitale riservato a Unipol, avrebbero concorso a realizzare l’operazione e dunque non potrebbero sfilarsi. Ma i Ligresti — è la replica — non hanno partecipato all’assemblea di ottobre che ha approvato la fusione ed è quello l’atto deliberativo dal quale si può recedere.
Che farà adesso Unipol? Pagherà o resisterà? Dalla compagnia non sono arrivati commenti: l’esame della questione è in corso. Unipol è già impegnata in tribunale nell’azione di responsabilità contro i Ligresti, che a loro volta hanno fatto valere la «manleva» legale, un altro dei contenuti del «papello». Il rischio è che si apra un ulteriore fronte legale, che potrebbe anche avere esiti imprevedibili.
Fabrizio Massaro
fmassaro@corriere.it
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